"La utopia di ieri é diventata la realtà dell'oggi".
Il dibattito in Consiglio Comunale.
Indice del saggio

La costruzione della ferrovia per San Cataldo si ripropose tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta dell'Ottocento.
 
Dopo la costruzione delle due tratte ferroviarie Zollino-Gallipoli (1885) e Taranto-Brindisi (1886), la provincia di Lecce attese per oltre vent'anni la costruzione di altri tronchi ferroviari. Solo nel 1907, infatti, venne aperta all'esercizio la ferrovia Lecce-Francavilla F.na con diramazione Novoli-Nardò.
 
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Nel frattempo si era sviluppato in tutta la provincia un ampio dibattito per individuare un'alternativa alla costruzione delle ferrovie e fare in modo di dotare la provincia di Terra d'Otranto di un sistema di trasporto efficiente che mettesse in collegamento i più grossi centri rurali interni con gli snodi ferroviari principali di Lecce, Brindisi e Taranto. 
 
 

Principali collegamenti tramviari progettati nella provincia di Terra d'Otranto dal 1881 al 1933.  
L'unico ad essere realizzato fu la tramvia Lecce-San Cataldo 
(C. Pasimeni, "Il treno dei sogni")

 
La progettazione di un sistema tramviario, leggero e funzionale ai collegamenti interni della provincia, si fece strada nell'opinione pubblica salentina e rimbalzò nell'aula del Consiglio provinciale.
 
Fu Giuseppe Ruggieri, ingegnere, consigliere provinciale, deputato al Parlamento nella XVII, XVIII e XIX legislatura, padre di Pasquale Ruggieri che sarà l'artefice della tramvia Lecce-San Cataldo, ad avanzare la proposta della costruzione di una rete tramviaria provinciale come sistema integrato del trasporto ferroviario [16]. Una proposta che se fosse stata accolta avrebbe forse risolto tanti problemi del trasporto pubblico locale sui quali ancora oggi si discute. Essa non trovò consensi nel Consiglio provinciale che, al contrario, preferì indirizzare le risorse sul completamento del sistema ferroviario provinciale, per favorire il trasporto di merci e di derrate, sfidando l'incognita dei tempi di realizzazione che, come si sa, furono molto lunghi e laboriosi. Le classi dirigenti salentine non ritennero produttivo impiantare un sistema tramviario provinciale, perché le tramvie, come sistema di collegamento di uomini e non di merci, furono considerate un mezzo adatto alle realtà economicamente e industrialmente più avanzate e per niente funzionali ad una società agricola come la provincia di Lecce, condizionata dai tempi lunghi delle produzioni agricole [17]  
 
Frontespizio del libro di G. Ruggieri
 
La questione delle tramvie richiamò l'attenzione dei leccesi sulla possibilità di utilizzare questo mezzo più economico per collegare Lecce a San Cataldo e per realizzare il vecchio sogno.
 
In Consiglio comunale e sulla stampa cittadina si riaffacciarono vecchi e nuovi desideri, come la mai sopita aspirazione di competere con le città portuali di Taranto e di Brindisi da un lato, e le prospettive di sviluppo del capoluogo dall'altro [18]. L'intreccio tra vecchie motivazioni e nuovi propositi diede consistenza ad un progetto finalizzato soprattutto agli interessi di una classe dirigente affacciatasi alla guida della città tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta dell'Ottocento, che seppe imprimere alla politica amministrativa una svolta nuova e per certi versi duratura.

La tramvia per San Cataldo, dopo una serie di richieste inoltrate da Donato Greco di Galatina e proprietario del Politeama (1884), per ottenere la concessione comunale della costruzione e dell'esercizio [19], poté essere realizzata soltanto nella seconda metà degli anni Novanta.
 
Fu il sindaco Giuseppe Pellegrino, che con forte determinazione e all'interno di un quadro amministrativo profondamente mutato, diede una soluzione definitiva alla costruzione della tramvia per San Cataldo. 

"E' tempo ormai di fare entrare questa questione nella sua fase decisiva, dopo il così lungo periodo d'incubazione in cui è rimasta -esordiva Pellegrino in Consiglio comunale il 24 aprile 1896-. E volendo risolvere il problema, bisogna affrontarlo risolutamente, senza indecisioni, nella sua realtà, e con tutta la serietà di uomini pratici, che sanno quel che vogliono ed hanno maturamente pensato al modo di eseguire i loro propositi" [20]
 
Eletto sindaco il 28 luglio 1895, Pellegrino riuscì a trasformare radicalmente la città nei quattro anni di permanenza alla guida del comune. Egli, infatti, si dimise dalla carica di sindaco il 4 novembre 1899 per candidarsi al Parlamento.

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Giuseppe Pellegrino. Ritratto di Domenico Delle Site.
Lecce 18 marzo 1930 (Archivio A. Dolce)
 
Gli anni Novanta furono anni di crisi generale per il paese. I moti per la fame e per il lavoro che scoppiarono a Milano nel maggio 1898, repressi dalle cannonate di Bava Beccaris, e che ebbero ripercussioni in Puglia e nel Salento, a Lecce non furono avvertiti; anzi fu proprio nei giorni successivi alla crisi che la città visse un clima di festa, dal 23 al 26 giugno, quando furono inaugurati la tramvia elettrica e altre opere realizzate dall'amministrazione Pellegrino [21]. Ciò fu possibile per l'accurata e oculata politica amministrativa perseguita, che come primo atto riuscì a risanare le casse del Comune; ad allontanare i tanti questuanti e concessionari di servizi pubblici, "la clientela parassitaria" -la definiva Pellegrino-, che affollavano i corridoi e le stanze del comune; a gestire in economia, tramite l'apporto di persone altamente competenti e professionalmente valide, la riscossione dei tributi (del dazio consumo), dei servizi igienici e sanitari; a utilizzare le risorse culturali, materiali e imprenditoriali presenti nella città che incentivarono le attività industriali e commerciali e richiamarono a Lecce imprenditori nazionali e europei (l'impresa Cozza-Guardati a cui venne concessa la costruzione dell'acquedotto leccese e la ditta Koppel di Berlino); ad erogare servizi e lavori pubblici che diedero occupazione ai tanti operai disoccupati della città; a rilanciare i consumi; ad assicurare in definitiva alla città un equilibrio e una tenuta sociale difficilmente riscontrabile nelle altre città italiane sconvolte in quegli anni da conflitti e scontri sociali.
 
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Alcune delle opere realizzate sotto il sindacato Pellegrino: la costruzione dell’Acquedotto Leccese realizzato 
dall’Impresa Cozza-Guardati (a sinistra) e la sistemazione della piazzetta Vittorio Emanuele II (a destra). 
Foto Spagnolo (Archivio A. Dolce)
 
Fu in questo clima amministrativo, che certamente non annullava la vasta presenza in città dei molti poveri e indigenti, come peraltro ha dimostrato Rosanna Basso, che maturò la decisione della costruzione della tramvia [22].
 
In discussione non fu mai la natura del sistema di locomozione, se cioè essa dovesse essere a trazione animale, meccanica o a vapore; per il Comune la preoccupazione era quella "di proporzionare i mezzi al fine ed esaminare fino a qual punto l'amministrazione debba impegnarsi per attuare l'idea".
Realizzare l'idea, dunque; e fare in modo che essa fosse proporzionata ai mezzi disponibili. Non importava tanto se quell'impresa fosse produttiva o improduttiva per l'economia cittadina. Il tempo avrebbe dato una risposta alla maggiore o minore produttività della tramvia. Per Pellegrino in quel momento era importante la determinatezza con cui l'uomo politico doveva agire e affrontare tutti quei problemi che nel corso degli anni erano rimasti insoluti. E la tramvia Lecce-San Cataldo era una questione che si trascinava da oltre un ventennio e come tale andava risolta. La sua costruzione fu al tempo stesso una risposta alle amministrazioni che si erano susseguite al governo della città e che non avevano saputo concretizzare gli impegni assunti nei confronti dei cittadini. "E' opera di amministratori intelligenti quella di non fare un'amministrazione pedestre che si occupi solamente del costo delle entrate e delle spese, come farebbe una padrona colla sua serva -egli scriveva-: ma di guardare all'avvenire ed affrontare quelle spese che possono riuscire di reale vantaggio della cosa pubblica" [23]. Egli riprese questo concetto dopo che la tramvia era stata costruita e, a proposito delle amministrazioni che lo avevano preceduto, affermò che "gli altri si accontentarono di voti platonici, di studi, di corrispondenze con i ministeri; io invece sono stato più fortunato, nel raggiungere, con la tenacità di propositi dei miei colleghi di Giunta e di voi, egregi colleghi del Consiglio, la realizzazione di quelle aspirazioni, dopo risoluta felicemente la questione finanziaria, che n'era il mezzo essenziale" [24]. Pellegrino non si nascondeva che la tramvia avrebbe soddisfatto essenzialmente l'esigenza di balneazione dei leccesi e che per questo costituiva un'incognita dal punto di vista economico. "E' inutile diffondersi a farne la dimostrazione -diceva il sindaco di Lecce-, perché non si tratta di una tramvia che debba congiungere due luoghi popolosi fra i quali vi sia scambio di traffici e di commerci, ma di una ferrovia che per ora deve soltanto essere utilizzata ad uso balneare sperando che col tempo possa prendere largo sviluppo". Egli però sperava che in futuro avrebbe richiamato "una somma d'interessi agricoli, industriali e commerciali, dai quali possa nascere un maggior profitto" [25].

Nonostante la presenza in Consiglio comunale e nella città di un'opposizione piuttosto agguerrita, che gli contestava l'alto costo rispetto agli eventuali profitti che ne sarebbero derivati [26], Pellegrino riuscì lo stesso a far approvare, sulla base di un capitolato compilato dalla giunta comunale, la concessione della costruzione della tramvia, perché -come egli affermò- si trattava di un impegno "d'onore" assunto con i cittadini. "Noi siamo abituati a portare nella vita pubblica le stesse abitudini della vita privata e a mantenere le promesse fatte -egli disse-, e della esecuzione della tramvia per S. Cataldo abbiamo fatto un impegno d'onore. E quest'impegno lo vogliamo mantenere" [27].

Egli mise fine alle polemiche e alle opposizioni avvalorando la scelta compiuta e portando a sostegno le tante petizioni che in periodi diversi erano state inoltrate all'amministrazione comunale e sottoscritte "da ogni classe di cittadini, dalla più elevata fino ai più modesti operai". L'opinione pubblica leccese era convinta della convenienza e dell'opportunità di costruire la tramvia come mezzo di trasporto per poi realizzare l'ancoraggio a San Cataldo, a cui erano aggrappate le esili speranze di una ripresa economica e di uno sviluppo commerciale della città. Ben presto però ci si rese conto che la tramvia aveva soltanto assicurato alla città di Lecce un sistema di trasporto verso il mare, peraltro stagionale, rimanendo in funzione soltanto nel periodo estivo.

Alla gara d'appalto parteciparono le ditte Donato Greco, Vincenzo Contursi, che si ritirarono, ed il marchese Gennaro Pepe, ingegnere capo del Genio Civile di Napoli, al quale in un primo momento era stato assegnato l'appalto dei lavori secondo le norme del capitolato approvato dal Consiglio comunale nel febbraio 1896 [28]. Nel marzo, a gara conclusa, pervenne l'offerta della ditta Pasquale Ruggieri, figlio dell'on. Giuseppe, che si dichiarò disposto ad assumere l'appalto dei lavori e la concessione dell'esercizio della tramvia a vapore alle condizioni previste nel capitolato sottoscritto dal Pepe; rispetto a questo, però, il Ruggieri offriva un ribasso delle spese per il Comune di 2.000 lire annue. Le più vantaggiose condizioni dell'offerta Ruggieri e la garanzia stessa che l'ingegnere leccese offriva, "perché il nome del concessionario è guarentigia di lealtà, di correttezza e di scrupoloso adempimento dei patti contrattuali" -come affermò il sindaco-, convinsero il Consiglio a riconsiderare il primo affidamento della concessione all'ingegnere napoletano e a conferirla invece al Ruggieri [29].
 

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La tettoia per il Mercato delle Erbe progettata dall'ing. Pasquale Ruggieri
(Archivio A. Sabato)
  A nulla valsero le proteste del Pepe e il ricorso inoltrato alla Giunta Provinciale Amministrativa per annullare l'affidamento della concessione alla ditta Ruggieri. 
 
Il ricorso fu dichiarato "inammissibile" [30] ed al Ruggieri restò la concessione della costruzione e dell'esercizio della tramvia a vapore Lecce-San Cataldo. 
 
Stipulato il compromesso, l'ingegnere leccese propose, e il Comune l'accolse, l'idea di sostituire la trazione elettrica a quella a vapore.
 
Egli si rivolse ad un'impresa tedesca, in quel momento una delle più accreditate sul piano nazionale e internazionale nel settore della costruzione di impianti tramviari e ferroviari elettrici.

L'atto di concessione della costruzione e dell'esercizio della tramvia elettrica tra il sindaco Pellegrino e le ditte Pasquale Ruggieri e la Società in accomandita Arthur Koppel di Berlino, rappresentata dai "procuristi" Ugo Rosenthal ed Arthur Werther, fu stipulato il 24 agosto 1897 di fronte al notaio e consigliere comunale, Pasquale Lala.

 
Il Consiglio comunale lo ratificò nella seduta del 30 agosto. L'art. 1 della concessione prevedeva che il Ruggieri "sin da ora, e per qualsiasi effetto del presente" delegava "a suo unico, esclusivo ed irrevocabile rappresentante di fronte al comune di Lecce, l'altra contraente solidale società in accomandita Arthur Koppel o chi per essa". 
 
Il rapporto tra il Ruggieri e la Koppel fu sancito da un contratto sottoscritto a Berlino il 13 novembre 1897 nel quale furono specificati ruoli e impegni dei due contraenti. Era previsto che la Koppel avrebbe costruito la centrale elettrica per alimentare l'illuminazione della città. A garanzia degli obblighi assunti da Pasquale Ruggieri nei confronti della ditta tedesca, vi fu l'impegno del padre Giuseppe, che, tra l'altro, mise a disposizione una eventuale cessione della partecipazione azionaria che egli aveva nella Società del Mar Piccolo di Taranto [31]
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Stemma della Arthur Koppel
(Archivio A. Dolce)
 
La concessione della tramvia aveva una durata di 60 anni (art.20). Alla scadenza il materiale mobile e fisso, gli accessori e dipendenze, compresi i fabbricati, sarebbero rimasti di proprietà del Comune senza alcun indennizzo alla società, "sempreché per una ragione qualsiasi la proprietà della tramvia non sia passata al Governo" [32].

Il 13 gennaio 1899 il Ruggeri si ritirò dalla società. Restano oscure le cause del cessato rapporto. Un appunto manoscritto di Giuseppe Pellegrino, conservato nell'Archivio A. Dolce, risalente probabilmente al 3 aprile 1899, lascia intravvedere le difficoltà di Pasquale Ruggieri a rispettare le condizioni onerose poste dalla Koppel nel contratto del novembre 1897. Con quell'atto, infatti, sia Pasquale Ruggieri che il padre Giuseppe si facevano garanti in proprio "di pagare tutte le possibili perdite annuali" dell'esercizio tramviario.
 
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Comunicazione della Koppel al Sindaco circa il passaggio di consegne della Direzione Generale dell'Impresa a seguito del ritiro di Giuseppe Ruggieri. (Archivio Storico Comunale - Lecce)
 
L'accordo del 13 gennaio 1899, secondo quanto si legge nell'appunto di G. Pellegrino, stabiliva che la Koppel avrebbe rinunziato a quelle garanzie e lo stesso Ruggieri sarebbe restato "socio in partecipazione". In seguito però la Koppel "abolì il cognome Ruggieri dalla Ditta" e chiese come risarcimento danni la somma di 500.000 lire, oltre 73.000 lire per la "ritardata consegna dell'officina a gas".
 
Si trattava di un risarcimento enorme per quei tempi che solo dietro "introduzione di amici" fu possibile rivedere, pervenendo ad una nuova transazione tramite la quale "i Signori Ruggieri", padre e figlio, liquidavano 112.000 lire, compreso lo stabilimento balneare di San Cataldo, che da quel momento passò in proprietà alla Koppel, saldando così "tutti i loro conti" con la ditta tedesca.
 
Nella definizione della vertenza, sebbene lo stesso Pellegrino sottolineasse "l'estraneità" dell'amministrazione comunale, non era da escludere l'intervento sia del sindaco, sia dello stesso Consiglio comunale, che aiutarono l'ingegnere Ruggieri nell'indirizzare la sua attività imprenditoriale verso altri settori industriali.
 
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Cartolina pubblicitaria della Fabbrica di Ghiaccio
di Pasquale Ruggieri (Archivio A. Imbriani)
Il Ruggeri dal novembre 1898 gestì il servizio del gas fino all'installazione dell'illuminazione elettrica; nel 1899 impiantò a ridosso del gazometro, su suolo del Comune concesso gratuitamente per dieci anni, una fabbrica di ghiaccio artificiale, la prima in Puglia, dotata di modernissime macchine; progettò uno stabilimento frigorifero per la conservazione delle carni e di prodotti alimentari; fu il rappresentante della ditta milanese di pavimentazione e cilindratura a vapore delle strade dell'ing. Emilio Gola e Conelli. 
 
Progettista e costruttore della tettoia del mercato delle erbe, il Ruggieri era bene inserito nel mondo industriale italiano ed europeo. Nel 1908 fu promotore assieme all'avv. Luigi Mastracchi Manes, Giovanni Pranzo, Francesco Zaccaria Pesce, Achille Daniele, Niccolò Foscarini e alle ditte romane Pietro Cantalupi e Giovanni Giani che rilevò i servizi elettrici, del gas e della tramvia, della costituzione della Società Anonima Leccese della Ghiacciaia [33]. La sua attività imprenditoriale fu compromessa, alle soglie della guerra, da una situazione economica fallimentare dalla quale uscì grazie all'intervento del Pellegrino. Dopo la guerra l'ingegnere leccese si dedicò alla progettazione di case popolari; lo troviamo, infatti, come azionista della Società Anonima Cooperativa Unione Salentina. Divenne presidente della Federazione combattenti della provincia di Lecce e ricoprì la carica di ingegnere presso la provincia fino alla morte avvenuta nel 1924.
 
La costruzione della tramvia fu opera degli ingegneri tedeschi che giunsero a Lecce al seguito della Koppel e portarono l'esperienza di impianti elettrici nel trasporto ferroviario sperimentata in ogni parte del mondo. La Koppel, direttamente o attraverso società associate, aveva installato tramvie e ferrovie elettriche in Europa, in Asia e in America. Era presente con macchinari e impianti nelle più importanti città europee (Londra, Ostenda, Parigi, Berlino, Amburgo, Mosca, Varsavia, Odessa, Wladiwostok, Budapest, Vienna, Praga, Pescara, Lecce) in Egitto, Siria, Persia, in Cina, Giappone, Messico, Brasile, fino a Melbourn in Australia [34]

La tramvia elettrica Lecce-San Cataldo, con i suoi 12,700 chilometri, fu allora la prima ad essere costruita nel Mezzogiorno e la più lunga in assoluto in campo nazionale. 

I lavori iniziarono nel novembre 1897. 

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Copertina del Catalogo dell'impresa
Arthur Koppel - 1900 (Archivio A. Dolce)
 
La società tedesca apportò non poche varianti al progetto Macor-D'Elia approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 10 aprile 1884; si trattò di interventi richiesti "dalle progredite invenzioni scientifiche, dalle nuove condizioni edilizie della città e da ragioni di ordine economico". Ed infatti alla trazione a vapore venne sostituita quella elettrica, che era ormai il sistema più idoneo e sperimentato nelle più grandi città italiane; la trazione elettrica, inoltre, con i suoi 30 km orari, avrebbe offerto un servizio "più rapido, più elegante e più pulito di treni con partenze e ritorni frequenti e numerosi". Non veniva esclusa la possibilità di attivare anche un servizio merci. Oltre ad alcune varianti di carattere più strettamente tecnico, relative all'eliminazione di alcune pendenze stradali, alla larghezza e al peso delle traversine, ecc., furono predisposti lungo il tragitto 25 passaggi a livello e raddoppi di binario con scambi automatici alle stazioni di partenza, di arrivo e di fermata. Lungo tutta la linea venne impiantato un servizio telefonico con apparecchi e accessori necessari a garantire un servizio sicuro ed efficiente.
 
 
La tramvia partiva da piazza Sant'Oronzo 1 lungo il lato est della piattaforma, svoltava a sinistra fino a piazza delle Erbe 2 , proseguiva lungo la via Santa Lucia 3 e per viale Italia 4 fino al giardino Garibaldi 5 da dove si biforcava; un ramo, quello di servizio 6 , conduceva alla centrale elettrica 7 e ai depositi; l'altro 8 imboccava la via per San Cataldo fino al piazzale della marina. Era intenzione del concessionario portare il capolinea al piazzale della stazione ferroviaria. La concessione sottoscritta prevedeva quattro fermate e da una a tre corse al giorno, dalla metà di maggio alla metà di ottobre. Il servizio veniva effettuato da quattro treni ad intervalli di 45 minuti ciascuno.

Il materiale di armamento, in acciaio e posato su traversine di quercia, era del tipo Vignole, come quello utilizzato per le tramvie elettriche di Torino, Milano e Roma.
 

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Una carrozza motrice e una rimorchiata - Foto Spagnolo (Archivio A. Dolce)
 
Le carrozze motrici, simili a quelle adottate in queste città, contenevano 22 posti a sedere, di cui otto di prima classe e quattordici di seconda, e venti posti in piedi sulle due piattaforme. Le due classi erano separate da "una divisione a vetri e legno ed è provveduta di cuscini foderati di pelle". Le vetture "dipinte in giallo e rosso", erano "elegantissime e illuminate con lampade ad incandescenza".

La direzione dell'esercizio era stata affidata all'ing. Ruggieri, che rimase nella società fino al gennaio 1899, e all'ingegnere elettricista tedesco Jacob Einstein. Il personale viaggiante era composto da un controllore, un capo conduttore, otto conduttori e sedici fattorini; alla sorveglianza e alla manutenzione della linea, invece, erano addetti un caposquadra, sei operai avventizi e sei cantonieri [35].

Alla ditta Koppel l'amministrazione Pellegrino affidò in concessione anche il servizio dell'illuminazione elettrica della città, sostituendo quello a gas gestito fino a quel momento dalla "Tuscan Gaz Company Limited".
 
Il primo contratto per l'illuminazione a gas della città, che sostituiva i fanali a petrolio, era stato stipulato dall'amministrazione di Carlo D'Arpe nel 1873 con la compagnia Cassian Bon, a cui era stato concesso "l'esclusivo diritto" dell'illuminazione pubblica e privata per 50 anni ad un canone annuo di 35.487 lire per 400 fiamme.
 

Il contratto fu poi rivisto nel 1887 dall'amministrazione di Giovan Battista Libertini che elevò il canone a 55.000 lire per 250 fiamme di 12 candele. L'amministrazione di Giuseppe Panzera, sull'esempio delle altre città italiane, cercò di convertire l'illuminazione a gas con quella elettrica. Essendosi però il comune arretrato con i canoni annuali, la Cassian Bon non acconsentì alla trasformazione elettrica. Il comune allora, saldato il debito, rescisse il contratto affidando la nuova concessione alla Tuscan Gaz Company Limited. In seguito la ditta Koppel prelevò da questa l'officina del gas per 450.000 lire e subentrò in surroga in tutti i diritti e doveri della ditta Tuscan Gaz. La Koppel quindi presentò al comune la proposta di riconvertire l'illuminazione della città da gas ad elettrica mantenendo lo stesso canone annuo della Tuscan purché, però, le fosse concesso l'utilizzazione dello stesso macchinario della tramvia elettrica per S. Cataldo [36]
 
Per entrambi i servizi la società tedesca impiantò una centrale elettrica sul viale Unità d'Italia che completava la "zona industriale" della città. Ricadevano infatti in quell'area il gazometro e la fabbrica del ghiaccio di Pasquale Ruggeri, la fabbrica di sapone di Eugenio De Siena, quella di birra di Luigi Giancane, il pastificio dei Landi.
 
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La rimessa e l'edificio con le macchine
Foto Spagnolo - (Archivio A. Dolce)
La centrale elettrica disponeva di oltre 18.600 mq. in cui ricadevano un fabbricato principale adibito ad uffici per la direzione tecnica, per l'amministrazione, per le utenze; una rimessa con quattro ingressi e rotaie, capace di ricoverare fino a dodici vetture; un edificio in cui erano collocate le macchine (due motori a vapore ad alta e bassa pressione a sistema Tandem a due cilindri, quattro dinamo generatrici, un trasformatore, ecc.) le caldaie (a sistema Cornovaglia e a due fornelli), un magazzino, le officine per le riparazioni e per la verniciatura delle vetture. 
 
L'alimentazione delle caldaie avveniva tramite una cisterna capace di 2000 mc. di acqua alimentata da due grandi pozzi. Era stato inoltre costruito, a distanza regolamentare dalle caldaie, un camino di 40 m. di altezza a sezione interna ottagonale.

Il macchinario elettrico utilizzato era dei più moderni esistenti in campo internazionale. Ogni macchina a vapore, infatti, alimentava due dinamo tipo Walker di una potenza di 65 cavalli ognuna che producevano tensione a 300 volt, sufficiente per l'esercizio di tutta la tramvia e capace di mettere in moto contemporaneamente quattro treni di due vetture ognuno. La corrente elettrica prodotta da ogni gruppo giungeva ad un quadro di distribuzione in marmo, che conteneva tutti gli apparecchi necessari alle commutazioni, comandi e distribuzione.

Erano preposti all'organizzazione amministrativa e contabile un cassiere, un ragioniere, un assistente tecnico, un magazziniere; mentre erano addetti alla centrale due macchinisti, un elettricista, due fuochisti, cinque operai, un controllore e un guardiano. Complessivamente il personale addetto alla tramvia e alla centrale elettrica era composto di 55 unità lavorative oltre ai due direttori generali preposti all'impianto e all'esercizio dell'officina elettrica [37].
 
L'elettricità faceva cosi la sua comparsa nei servizi pubblici di Lecce, anche se in città non erano mancati gli esperimenti e le applicazioni sull'orologeria elettrica da torre fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, come ci ricorda Livio Ruggiero nelle pagine dedicate al Miozzi e al Candido in questo stesso catalogo.
 

 
 
Intestazioni di documenti dell'impresa Arthur Koppel a Lecce, dopo il 1899 (Archivio Storico Comunale - Lecce)
 
Come avveniva ormai in tutto il paese, la concessione dell'illuminazione elettrica della città fu assunta da una società tedesca. La presenza del capitale tedesco in Italia negli anni Novanta dell'Ottocento si era fatta più consistente, tanto da competere con quello inglese, belga e francese solidamente stabilizzatosi nel paese fin dagli anni Settanta. I settori verso cui si indirizzò furono quelli delle tramvie elettriche, controllati nel 1897 per il 62%, e dell'illuminazione elettrica, nel quale le imprese tedesche operarono in regime di monopolio tanto da essere considerate -come è stato scritto- "precoci esempi multinazionali" per il fatto di aver attivato "un sistema di finanziamento internazionale che in pratica copriva tutte le esigenze finanziarie della fase d'avvio delle imprese elettriche che esse fondarono in Italia [38]. Nel Mezzogiorno il capitale tedesco si indirizzò nel settore delle materie estrattive ed in quello delle infrastrutture urbane, nella costruzione di centrali elettriche, di tramvie elettriche e di impianti di illuminazione. Il caso Koppel a Lecce confermava la tendenza meridionale del capitale tedesco che dall'appalto dell'illuminazione della città e dall'esercizio della tramvia cercò di trarre i maggiori profitti limitando gli investimenti nella ristrutturazione del materiale mobile e fisso della tramvia. Le perizie condotte alla vigilia di ogni stagione estiva dal Genio Civile e dall'Ispettorato Generale delle Strade Ferrate, che denunciavano le carenze strutturali della linea e della manutenzione delle carrozze, furono la riprova di un esercizio carente e di una gestione precaria.
 
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