Il lungo contenzioso tra il Comune di Lecce e la ditta Koppel.
Indice del saggio

Dopo il felice avvio del servizio tramviario dei primi anni, che aveva fatto registrare risultati abbastanza lusinghieri sia nei ricavi, sia nel numero delle persone trasportate, tanto che faceva ben sperare per il futuro della tramvia [39], in seguito l'esercizio andò sempre più peggiorando per il fatto che l'amministrazione comunale si era arretrata con i pagamenti dovuti alla ditta tedesca, che più volte aveva minacciato la chiusura della tramvia e la sospensione dell'energia elettrica. Le oltre 15.400 lire, senza gli interessi dovuti alla Koppel nel 1901, avevano raggiunto la ragguardevole somma di oltre 100.000 lire nel 1908 [40].

Alla base della crisi tra il Comune e la Koppel non vi fu solo l'insolvenza dei canoni annui pattuiti. Del resto un servizio tramviario che rispondeva ad una domanda solo stagionale, e per giunta medio/bassa dei cittadini leccesi, non poteva garantire alla ditta esercente nemmeno i ricavi sufficienti a coprire le spese di esercizio. Solo lo sviluppo dell'erogazione della luce elettrica, con l'aumento degli utenti e dei canoni, avrebbe potuto sopperire al deficit dell'esercizio tramviario. Il Comune, d'altro canto, che attraversava una stagione amministrativa difficile sul piano politico e finanziario, non poté soddisfare gli impegni assunti con il contratto di concessione che nel corso degli anni fu rivisto e modificato più volte [41].
 

Alla Mostra 
 
Il tram nei pressi della chiesa di S. Maria delle Grazie
Ed. A. Marzullo (Archivio A. Sabato)
L'elemento però che conferì un carattere precario al servizio tramviario e fece, di conseguenza, precipitare i rapporti con la ditta tedesca, fu la mancata concessione governativa, che non arrivò mai, se non nel lontano 1925, quando -come diremo- le sorti della tramvia elettrica erano ormai segnate. La mancata concessione governativa, che avrebbe potuto attutire le insolvenze debitorie del Comune, fece sì che di anno in anno venisse autorizzato dal prefetto l'esercizio provvisorio, dietro richiesta della ditta concessionaria e dopo gli accertamenti degli organi tecnici provinciali sulla sicurezza degli impianti. 
 
La storia della tramvia elettrica Lecce-San Cataldo, lunga e complessa, rinviava quindi ad una serie di problemi più generali che investivano il rapporto tra governo ed enti locali. In sostanza il Comune di Lecce aveva con atto unilaterale affidato alla ditta Koppel la costruzione della tramvia e la gestione dell'esercizio, senza che il Ministero dei LL.PP. avesse mai approvato il progetto esecutivo modificato; tant'è che non aveva mai corrisposto la sovvenzione governativa concessa di norma alle altre tramvie in esercizio nel paese. Il ruolo del governo quindi, nel caso della tramvia leccese, fu ambiguo e contraddittorio, perché da un lato vagliava scrupolosamente i progetti esprimendo pareri negativi (basti pensare ai ripetuti rinvii del progetto della ferrovia Lecce-San Cataldo); dall'altro, per assicurarsi consensi, per accontentare le clientele locali, per esigenze di ordine pubblico, approvava gli esercizi provvisori. Non a caso il primo esercizio provvisorio fu concesso all'indomani dei sanguinosi moti popolari del maggio 1898, che ebbero delle ripercussioni anche nella provincia di Terra d'Otranto. Il prefetto infatti aveva caldamente sollecitato l'approvazione dell'esercizio tramviario da parte del Ministero dei LL.PP., restio a concederla perché la ditta concessionaria non aveva ancora "ottemperato alle prescrizioni di legge". Il 7 maggio 1898, infatti, il prefetto, in occasione dell'arrivo della stagione estiva e alla vigilia dell'inaugurazione della tramvia elettrica, chiedeva al Ministro dei LL. PP. l'autorizzazione ad avviare l'esercizio provvisorio. "Senza tale autorizzazione -egli scriveva-, che a mio parere non presenta, per sicurezza e regolarità esercizio tramvia, inconveniente alcuno, riuscirebbe impossibile alla impresa aprire esercizio tramvia prossima stagione balneare. Quindi sospenderebbe immediatamente lavori rimandandoli anno venturo, licenziando immediatamente centinaia di operai e gettando così il paese in pericoli enormi". Dietro l'emergenza dell'ordine pubblico e di fronte alla determinazione dell'amministrazione comunale che premeva perché la tramvia venisse aperta al pubblico esercizio, il governo, anche in mancanza delle procedure formalmente istruite, lasciava la facoltà al prefetto, "con debite cautele", di avviare l'esercizio provvisorio "unicamente nello interesse ordine pubblico lo ritenga necessario" [42].

 I socialisti leccesi, relativamente ai servizi della tramvia e dell'illuminazione elettrica della città, ne fecero una battaglia politica contro l'amministrazione clerico-moderata di Giuseppe Pellegrino che dal 1908 al 1911 governò per la seconda volta il Municipio.
 
La prospettiva di un rilancio della tramvia elettrica poté trovare nella legislazione sulla municipalizzazione dei servizi pubblici, varata da Giolitti con la legge 20 marzo 1903, n. 103, una soluzione alla complicata situazione, dovuta soprattutto alle clausole e ai vincoli contenuti nella concessione alla ditta Koppel [43]
 
Nel quinquennio 1903-1908 il problema della municipalizzazione dei servizi del Comune di Lecce si era imposto all'attenzione delle forze politiche cittadine.
Alla Mostra 
 
Il tram tra via S. Lucia e il viale d'Italia
Ed. Vincenzo De Filippi (Archivio A. Sabato)
 
La precaria situazione in cui si trovavano i servizi pubblici della città portò Pellegrino a mettere in atto tutte le procedure per rescindere il contratto con la ditta Koppel e indire una nuova gara d'appalto per l'affidamento della concessione.

Un tentativo di riscatto era stato già offerto al Comune di Lecce dalla società tedesca all'indomani dell'emanazione del regolamento esecutivo della legge sulla municipalizzazione [44]. Il Comune, però, stretto da una situazione economica deficitaria e nell'incertezza del quadro politico-amministrativo della città, non prese in considerazione la proposta della Koppel, non riuscendo a utilizzare l'opportunità offerta dalla nuova legge sulla municipalizzazione.

Agli inizi del Novecento la città di Lecce presentava una fisionomia profondamente mutata sia sul piano demografico (la sua popolazione nel 1901, con 32.029 abitanti, era aumentata del 25,8% rispetto al 1881), sia su quello urbanistico (gli sventramenti e gli allineamenti avevano rimodellato il centro storico e la costruzione di nuovi quartieri aveva allargato la periferia), sia sul piano politico e amministrativo (si andavano affermando, accanto alle vecchie forze liberali, nuovi soggetti politici, come il movimento cattolico, quello socialista e radicale), sia, infine, sul piano più specificatamente sociale (era cresciuta una nuova domanda di lavoro di vasti strati della popolazione, di nuove esigenze di servizi, di consumi, ecc.). Paradossalmente proprio nel momento in cui il ruolo del governo cittadino veniva esaltato dalla legislazione giolittiana, per certi versi nuova e inedita nel panorama nazionale, il Comune di Lecce, che aveva alle spalle un retroterra di buon governo cittadino, conosciuto nella seconda metà degli anni Novanta, faceva registrare il punto più basso della sua presenza e del suo ruolo nella società. Si era polarizzato lo scontro sociale e politico che aveva portato il Comune all'immobilismo amministrativo, basti pensare che tra il 1900 e il 1908 si susseguirono alla guida del Comune otto sindaci e quattro commissari prefettizi [45]; i bilanci comunali non venivano più approvati, il disavanzo si faceva sempre più ingente e incolmabile, le ditte fornitrici rivendicavano crediti per le insolvenze comunali, i servizi pubblici diventavano sempre più carenti e precari [46].

All'interno di questo quadro di riferimento la soluzione del contenzioso con la ditta Koppel, che significava il rilancio dei servizi del trasporto, dell'illuminazione e della fornitura del gas, diventava prioritaria. Essa richiedeva un nuovo periodo di stabilità politica, di determinazione amministrativa, di un progetto di rilancio della città.

Chi riuscì, ancora una volta, a risollevare le sorti finanziarie del Comune e a portare a soluzione il riscatto dei servizi pubblici, fortemente condizionati da una complicata situazione tecnica e giuridica, fu -come abbiamo accennato- Giuseppe Pellegrino, che nel 1908 riconquistò palazzo Carafa con una coalizione demo-cattolica. Egli non accettò la carica di sindaco perché incompatibile con quella di deputato. Si fece nominare, come consigliere anziano, prosindaco, in modo da potersi presentare alle elezioni politiche del 7 marzo 1909 che lo videro eletto alla Camera dei deputati grazie al massiccio voto dei cattolici [47].
 

Alla Mostra 
 
Piazza S. Oronzo ed un convoglio in partenza per San Cataldo - 1908
Ed. F.lli Massari (Archivio A. Sabato)
Il suo programma amministrativo, come egli ebbe modo di presentare ad un'affollata assemblea di cittadini leccesi il 19 gennaio 1908 al Politeama, poggiava su tre punti essenziali: liberare il bilancio comunale dagli enormi debiti accumulati, primo fra tutti quello con la Koppel, che ammontavano a circa 560.000 lire "fra capitali, interessi e spese"; risanare il bilancio limitando le spese per opere pubbliche, contrariamente a quanto aveva fatto durante la sua precedente esperienza di sindaco; razionalizzare l'amministrazione corrente con le entrate ordinarie. 
Un programma che poté essere perseguito grazie al ricorso ai prestiti con la Cassa Depositi e Prestiti e attraverso la piena utilizzazione della legislazione giolittiana sugli enti locali [48].

I rapporti tra il Comune di Lecce e la ditta tedesca erano giunti "alla massima tensione". Qualsiasi tentativo di componimento era risultato vano, per il fatto che il Comune "si ostinava" a fare ricorsi in giudizio contro presunte o vere inadempienze della ditta tedesca, da cui risultava sempre perdente, e cercando di "sottrarsi all'obbligo del pagamento del suo debito". Un'ulteriore sentenza del tribunale, infatti, aveva condannato il Comune "ai danni derivanti da tale risoluzione e si dava la facoltà alla ditta di sospendere l'esercizio della luce e della tramvia". Fu necessario -secondo quanto scriveva lo stesso Pellegrino- riprendere i contatti con la Koppel, riconquistare la fiducia della ditta tedesca e dimostrare che l'effettiva volontà dell'Amministrazione comunale era quella di giungere ad un componimento amichevole. "Cominciammo dal pagare puntualmente -scriveva Pellegrino- quanto le era annualmente dovuto per consumo di luce e per sussidio alla tramvia". Nel 1909, infatti, si giunse alla stipula di un compromesso per il riscatto, "fatto in base alla legge sulla municipalizzazione e su quella dei precedenti contratti", che venne sottoscritto a Berlino tra lo stesso Pellegrino e i fiduciari della ditta [49].

Venne nominata dalle parti contraenti una commissione di tecnici e di esperti per una valutazione degli impianti e della produttività della tramvia e dell'illuminazione elettrica. Facevano parte della commissione l'ing. Luigi Ferraris, professore al Politecnico di Torino, per conto del Comune di Lecce; l'ing. Damioni di Venezia per conto della ditta Koppel; il cav. Fucci, direttore generale della Società dei tram di Roma, come terzo perito.
 

Alla Mostra In quel periodo si intensificarono i rapporti tra il prosindaco Pellegrino e il rappresentante della ditta Koppel in Italia, rag. Benzoni, che venne a Lecce più volte per seguire direttamente le trattative, che si dimostrarono lunghe, difficili e laboriose [50], perché "da una parte il Comune non voleva spendere oltre una cifra; dall'altra la Koppel non trovava conveniente la cifra proposta". Si giunse sulla base delle perizie tecniche eseguite e dopo alterne vicende, alla proposta del Pellegrino di riscattare i servizi per una cifra a forfait di 1.860.000 lire; somma che tra interessi, accessori, debiti arretrati e parcelle dei legali, raggiungeva la cifra di oltre 2.630.000 lire. La Koppel accettò la cifra proposta, pur "essendo convinta che il valore attuale degli impianti -scriveva a Pellegrino- é più grande del prezzo offerto (e) per testimoniare a voi personalmente la nostra riconoscenza sincera". 
 
L'operazione del riscatto si accompagnò contestualmente ad una nuova gara d'appalto per la concessione dei servizi della tramvia, dell'illuminazione e del gas. Nel maggio 1910 giunsero al Comune le offerte delle ditte Pasquale Loffreda, Giacomo Gridi, politicamente vicino a Pellegrino, fondatore nel 1890 del giornale "La Libertà", consigliere comunale e proprietario dell'Hotel Patria, Oronzo Pedio e Giovanni Giani di Roma, presente negli ambienti politici ed economici della città. Vicino politicamente al prosindaco Pellegrino, il comm. Giovanni Giani -come abbiamo detto- aveva una partecipazione nella Società Anonima Leccese della Ghiacciaia. La ditta romana si aggiudicò la gara a nome della Società Elettrica Leccese che si era costituita in anonima il 30 dicembre 1910 [51]. L'appalto, che prevedeva un canone annuo di 126.000 lire, apportava -secondo quanto riportato dallo stesso Pellegrino- altri vantaggi alla cittadinanza e alle casse del comune. La ditta romana, infatti, garantiva aumento di luce, diminuzione di tariffe, rinunzia ad ogni premio in caso di riscatto e, non ultimo, la proprietà degli impianti al comune [52].
 
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