I continui sopralluoghi e ispezioni agli impianti della centrale elettrica e della tramvia indussero il commissario regio al Comune di Lecce, Pietro Zanframundo, ad intervenire duramente nei confronti della SEL, tanto che nel 1918 aveva emesso una disdetta del contratto di concessione. Veniva denunciata una situazione inefficiente e poco attenta alle esigenze della cittadinanza, specie in un momento in cui la carenza di servizi più urgenti, quali la luce e il gas, rendevano ancora più precaria la ripresa del dopoguerra. Da parte sua la SEL aveva inoltrato al Comune un atto giudiziario col quale denunciava le inadempienze amministrative per la mancata concessione governativa all'esercizio della tramvia; la poca o inesistente sorveglianza della polizia municipale dei continui furti di lampadine e danneggiamenti alla rete tramviaria, che rendevano difficile "l'andamento regolare della pubblica illuminazione". Tutto ciò autorizzava la Società a chiedere "il ristoro dei danni" subiti [56].
Il commissario Zanframundo, a sua volta, rigettando tutte le accuse
e le inadempienze addebitati al Comune, rispose con un'altra denuncia contro
la Società Elettrica, chiamandola al rispetto degli impegni sottoscritti
con il contratto di concessione e diffidandola di ripristinare "entro dieci
giorni" l'illuminazione delle vie cittadine e, in particolare, di quelle
dei borghi [57].
La rottura era ormai inevitabile. Anche sul piano politico la situazione della gestione dei servizi pubblici era diventata oggetto di aggregazioni e al tempo stesso di scontri tra le forze politiche della città. Antonio Fino ha ricostruito in maniera convincente il particolare momento amministrativo. "Concordi sulla rottura con la SEL -egli scrive- e sulla decisione di gestire provvisoriamente in economia l'azienda elettrica, le forze politiche tornarono a dividersi allorché si aprì il dibattito sull'assetto da dare ad essa. Anche in questo caso l'abbandono della prospettiva della municipalizzazione favoriva un processo di divaricazione in cui utilizzazione politica della questione e gioco di interessi di gruppi economici e finanziari si intrecciavano" [59].
In questo contesto, in cui le forze politiche, economiche e finanziarie
della città concentravano i loro interessi sulla gestione dei servizi
pubblici, la tramvia per San Cataldo diventava un incomodo rilevante nei
bilanci aziendali, per il fatto che i suoi esercizi erano fortemente deficitari.
Si era giunti in sostanza alla situazione inversa rispetto a quella del
1898, quando la tramvia elettrica fu costruita. Allora i servizi di illuminazione
della città e del gas furono subordinati all'impianto e alla costruzione
della tramvia; ora la sua sopravvivenza era strettamente legata al rilancio
e all'ammodernamento degli impianti elettrici e all'aumento degli utenti,
e si inseriva all'interno di interessi economici e finanziari ben determinati.
Le prospettive della tramvia erano inoltre strettamente dipendenti
dallo sviluppo, nella provincia di Lecce, del trasporto pubblico su gomma.
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La richiesta di trasporti sempre più celeri ed efficienti, provienente dalle zone interne del paese e dai centri urbani più emarginati, portò nel dopoguerra ad una domanda sempre più alta di trasporto su gomma. L'autobus si impose nel sistema di trasporto pubblico grazie al successo che l'industria automobilistica andava perseguendo, alla messa a punto di motori a scoppio che si perfezionarono sotto la spinta della concorrenza tra le case produttrici tedesca, francese e italiana, alla formazione di una rete stradale in continuo miglioramento e fin da allora funzionale all'industria automobilistica. |
In questa direzione si muoveva la proposta avanzata dall'ing. prof. Elvio Soleri di Torino, incaricato dal Comune di rilevare lo stato dei servizi di illuminazione, del gas e della tramvia elettrica. Nella relazione conclusiva, egli rilevava lo stato "di abbandono" della tramvia in cui era stata lasciata dalla Società Elettrica Leccese per lunghi periodi "senza alcuna manutenzione". Proponeva perciò all'Amministrazione comunale di sostituirla, "direttamente o mediante concessione", "con un servizio automobilistico durante la stagione balneare". Questo avrebbe permesso ad una costituenda Azienda Comunale, che il tecnico torinese auspicava e sollecitava, di impiantare un servizio automobilistico non più stagionale, ma "annuale", più organico e funzionale alle esigenze della cittadinanza. Si trattava in altri termini di impiantare un servizio di autobus che si sarebbe potuto estendere anche ai comuni dell'hinterland, mettendoli in collegamento con il capoluogo. Veniva, in definitiva, proposto al Comune di Lecce di avviare un servizio di autobus urbano e suburbano, "rendendo così attivo e più utile il mezzo di trasporto" [60].
Il 1° gennaio 1921 il Comune di Lecce riscattò i servizi dell'illuminazione, del gas e della tramvia dalla Società Elettrica Leccese [61] e li gestì direttamente e in modo precario, senza avere cioé le competenze tecniche e i finanziamenti necessari per la ristrutturazione e l'ammodernamento degli impianti. La situazione si trascinò per alcuni anni, durante i quali non si riuscì a trovare sul mercato imprese private o imprenditori che si fossero assunti l'onere del rilancio della tramvia e la gestione dei servizi dell'illuminazione e del gas. "Né banche, né privati erano disposti a fare credito" -scrive Fino- a un'azienda comunale che solo nell'esercizio del primo anno aveva accusato perdite nella produzione di energia elettrica e accumulato altro deficit. La stessa Amministrazione comunale venne travolta dagli esiti negativi della gestione diretta dei servizi pubblici sul cui malcontento si consolidò un'opposizione politica eterogenea, composta da popolari, fascisti e radicali, che portò alle dimissioni del sindaco Romeo De Magistris. "Gelosie e rivalità di partiti e di personalità -continua Antonio Fino-; strumentalizzazione per fini di parte della questione; assenza di ceti imprenditoriali e finanziari veramente solidi; difficoltà di accesso al credito; diffidenza verso forme di associazione capaci di mettere in condizioni (per forza e per dimensioni) di competere con successo con gruppi economici sempre più dinamici e aggressivi: tutto ciò paralizzava ogni capacità di decisione dei ceti dirigenti leccesi, che furono costretti a subire, sia pure dopo una lunga resistenza, iniziative e disegni altrui" [62].
Con l'avvento del fascismo, in un clima politico mutato e all'interno
dei progetti delle ferrovie elettriche che il regime cercò di realizzare
nella provincia, la tramvia elettrica per S. Cataldo sembrò trovare
una prospettiva di rilancio. Furono contratti dal Comune dei mutui con
la Cassa di Risparmio del Banco di Napoli per la sua sistemazione e per
le spese di esercizio; venne rispolverato il progetto del prolungamento
del binario fino alla stazione ferroviaria, sempre proposto e mai realizzato;
fu infine predisposta una pianta organica del personale in esubero rispetto
alle effettive esigenze di servizio [63].
La delibera del Comune relativa al potenziamento e alla ristrutturazione
del servizio tramviario, avuto il parere favorevole del Genio Civile e
della Giunta Provinciale Amministrativa, non venne ratificata dal prefetto,
il quale non intravvide "il motivo d'urgenza", né "l'opportunità"
del provvedimento, "in quanto il comune -egli scriveva- assai probabilmente
è in procinto di cedere l'esercizio dell'azienda elettrica. Non
sarebbe prudente mettere nuovi maggiori oneri a suo carico" [64].
Ed infatti alla fine del 1925, dopo che era stata finalmente regolarizzata la concessione governativa tra il Ministero dei LL.PP. ed il Comune, l'esercizio della tramvia venne concesso per un quinquennio alla Società Elettrica Salentina, assorbita in seguito dalla Società Elettrica della Puglia Meridionale, diventata poi Società Generale Pugliese di Elettricità [65]. |