Il riscatto e la nuova concessione della tramvia,
dell'illuminazione, del gas.
Indice del saggio

Dal primo gennaio 1911 l'esercizio della tramvia e dei servizi elettrici della città furono gestiti dalla "Società Elettrica Leccese" [53]. La nuova gestione visse le vecchie contraddizioni di un servizio di trasporto stagionale, con bilanci deficitari, e subì le conseguenze di un esercizio provvisorio al quale si cercò di ovviare predisponendo un capitolato di concessione tra il Ministero dei LL.PP. ed il Comune [54].
 
La contingenza bellica e il difficile dopoguerra segnarono duramente il rapporto tra la SEL e il Comune che divenne conflittuale, sia per quanto riguardava l'esercizio del servizio tramviario, sospeso dal 1917 al 1919, sia per i mancati investimenti del materiale mobile e fisso. Una situazione che non risparmiò neanche il servizio elettrico e del gas. 
 
La tramvia visse anemicamente durante gli anni del conflitto mondiale. La sua attivazione durante i mesi estivi richiese continui lavori di ristrutturazione e di manutenzione, specialmente per i frequenti furti del filo di rame della linea aerea e delle traversine di legno trafugate durante i mesi invernali. Durante il periodo bellico il sindaco Sebastiano Apostolico Orsini fece in modo di mantenere in esercizio la tramvia per non aggravare ulteriormente la situazione di per sé già critica dei leccesi, privandoli del servizio di balneazione. "Sarebbe oltremodo penoso -egli scriveva- che essa cittadinanza, fra le ansie ed i disagi dell'ora presente, fosse colpita anche in questa delle sue abitudini" [55].

I continui sopralluoghi e ispezioni agli impianti della centrale elettrica e della tramvia indussero il commissario regio al Comune di Lecce, Pietro Zanframundo, ad intervenire duramente nei confronti della SEL, tanto che nel 1918 aveva emesso una disdetta del contratto di concessione. Veniva denunciata una situazione inefficiente e poco attenta alle esigenze della cittadinanza, specie in un momento in cui la carenza di servizi più urgenti, quali la luce e il gas, rendevano ancora più precaria la ripresa del dopoguerra. Da parte sua la SEL aveva inoltrato al Comune un atto giudiziario col quale denunciava le inadempienze amministrative per la mancata concessione governativa all'esercizio della tramvia; la poca o inesistente sorveglianza della polizia municipale dei continui furti di lampadine e danneggiamenti alla rete tramviaria, che rendevano difficile "l'andamento regolare della pubblica illuminazione". Tutto ciò autorizzava la Società a chiedere "il ristoro dei danni" subiti [56].

Il commissario Zanframundo, a sua volta, rigettando tutte le accuse e le inadempienze addebitati al Comune, rispose con un'altra denuncia contro la Società Elettrica, chiamandola al rispetto degli impegni sottoscritti con il contratto di concessione e diffidandola di ripristinare "entro dieci giorni" l'illuminazione delle vie cittadine e, in particolare, di quelle dei borghi [57].
 

Alla Mostra 
 
Tessera di Conduttore della tramvia gestita dalla 
Società Elettrica Leccese - 1913
(Proprietà S. Corigliano)
Si era ormai giunti alla fine di un altro capitolo della travagliata vita della tramvia elettrica Lecce-San Cataldo e dei servizi pubblici di illuminazione e del gas della città. Da parte del Comune si preparava una nuova svolta al contenzioso che preannunciava la rottura con la Società Elettrica. Si trattava di far rientrare la rescissione del contratto all'interno della legislazione vigente, specie di quella sulla municipalizzazione dei servizi pubblici che era stata richiamata ed inserita come clausola nel contratto di concessione del 28 febbraio 1912 sottoscritto dal sindaco Egidio Aprile per il Comune di Lecce, e dall'avv. Achille Frattarelli, delegato dal presidente della SEL, Giovanni Giani. 
 
Il contratto, infatti, prevedeva la concessione dei servizi alla SEL per cinquanta anni, mentre vincolava il Comune per soli dieci anni, "rimanendo -si legge- in sua facoltà di municipalizzare alla fine del decennio i servizi della luce elettrica, della tramvia e del gas", ai sensi della legge 29 marzo 1903, n. 103" [58].

La rottura era ormai inevitabile. Anche sul piano politico la situazione della gestione dei servizi pubblici era diventata oggetto di aggregazioni e al tempo stesso di scontri tra le forze politiche della città. Antonio Fino ha ricostruito in maniera convincente il particolare momento amministrativo. "Concordi sulla rottura con la SEL -egli scrive- e sulla decisione di gestire provvisoriamente in economia l'azienda elettrica, le forze politiche tornarono a dividersi allorché si aprì il dibattito sull'assetto da dare ad essa. Anche in questo caso l'abbandono della prospettiva della municipalizzazione favoriva un processo di divaricazione in cui utilizzazione politica della questione e gioco di interessi di gruppi economici e finanziari si intrecciavano" [59].

In questo contesto, in cui le forze politiche, economiche e finanziarie della città concentravano i loro interessi sulla gestione dei servizi pubblici, la tramvia per San Cataldo diventava un incomodo rilevante nei bilanci aziendali, per il fatto che i suoi esercizi erano fortemente deficitari. Si era giunti in sostanza alla situazione inversa rispetto a quella del 1898, quando la tramvia elettrica fu costruita. Allora i servizi di illuminazione della città e del gas furono subordinati all'impianto e alla costruzione della tramvia; ora la sua sopravvivenza era strettamente legata al rilancio e all'ammodernamento degli impianti elettrici e all'aumento degli utenti, e si inseriva all'interno di interessi economici e finanziari ben determinati.
Le prospettive della tramvia erano inoltre strettamente dipendenti dallo sviluppo, nella provincia di Lecce, del trasporto pubblico su gomma.
 

 
 
Viale S. Lucia con la linea aerea di alimentazione per il tram e
uno dei primi autoveicoli adibiti al trasporto pubblico
Ed. F.lli Massari (Archivio A. E. Foscarini)
La richiesta di trasporti sempre più celeri ed efficienti, provienente dalle zone interne del paese e dai centri urbani più emarginati, portò nel dopoguerra ad una domanda sempre più alta di trasporto su gomma. L'autobus si impose nel sistema di trasporto pubblico grazie al successo che l'industria automobilistica andava perseguendo, alla messa a punto di motori a scoppio che si perfezionarono sotto la spinta della concorrenza tra le case produttrici tedesca, francese e italiana, alla formazione di una rete stradale in continuo miglioramento e fin da allora funzionale all'industria automobilistica. 
 
La trasformazione del servizio della tramvia elettrica Lecce-San Cataldo in un servizio di trasporto automobilistico si faceva strada negli amministratori leccesi e prendeva consistenza nell'opinione pubblica cittadina. Non è un caso, infatti, che in tutta la provincia si erano costituite le prime società automobilistiche a carattere famigliare, che, attraverso concessioni comunali, avevano preso in concessione linee di trasporto ancora oggi in vigore. Il trasporto su gomma per garantire la continuazione del servizio Lecce-San Cataldo, dunque, si stava imponendo non solo perché era più economico, oltre che più celere; ma anche per il fatto che si sarebbe reso autonomo dal servizio dell'erogazione elettrica.

In questa direzione si muoveva la proposta avanzata dall'ing. prof. Elvio Soleri di Torino, incaricato dal Comune di rilevare lo stato dei servizi di illuminazione, del gas e della tramvia elettrica. Nella relazione conclusiva, egli rilevava lo stato "di abbandono" della tramvia in cui era stata lasciata dalla Società Elettrica Leccese per lunghi periodi "senza alcuna manutenzione". Proponeva perciò all'Amministrazione comunale di sostituirla, "direttamente o mediante concessione", "con un servizio automobilistico durante la stagione balneare". Questo avrebbe permesso ad una costituenda Azienda Comunale, che il tecnico torinese auspicava e sollecitava, di impiantare un servizio automobilistico non più stagionale, ma "annuale", più organico e funzionale alle esigenze della cittadinanza. Si trattava in altri termini di impiantare un servizio di autobus che si sarebbe potuto estendere anche ai comuni dell'hinterland, mettendoli in collegamento con il capoluogo. Veniva, in definitiva, proposto al Comune di Lecce di avviare un servizio di autobus urbano e suburbano, "rendendo così attivo e più utile il mezzo di trasporto" [60].

Il 1° gennaio 1921 il Comune di Lecce riscattò i servizi dell'illuminazione, del gas e della tramvia dalla Società Elettrica Leccese [61] e li gestì direttamente e in modo precario, senza avere cioé le competenze tecniche e i finanziamenti necessari per la ristrutturazione e l'ammodernamento degli impianti. La situazione si trascinò per alcuni anni, durante i quali non si riuscì a trovare sul mercato imprese private o imprenditori che si fossero assunti l'onere del rilancio della tramvia e la gestione dei servizi dell'illuminazione e del gas. "Né banche, né privati erano disposti a fare credito" -scrive Fino- a un'azienda comunale che solo nell'esercizio del primo anno aveva accusato perdite nella produzione di energia elettrica e accumulato altro deficit. La stessa Amministrazione comunale venne travolta dagli esiti negativi della gestione diretta dei servizi pubblici sul cui malcontento si consolidò un'opposizione politica eterogenea, composta da popolari, fascisti e radicali, che portò alle dimissioni del sindaco Romeo De Magistris. "Gelosie e rivalità di partiti e di personalità -continua Antonio Fino-; strumentalizzazione per fini di parte della questione; assenza di ceti imprenditoriali e finanziari veramente solidi; difficoltà di accesso al credito; diffidenza verso forme di associazione capaci di mettere in condizioni (per forza e per dimensioni) di competere con successo con gruppi economici sempre più dinamici e aggressivi: tutto ciò paralizzava ogni capacità di decisione dei ceti dirigenti leccesi, che furono costretti a subire, sia pure dopo una lunga resistenza, iniziative e disegni altrui" [62].

Con l'avvento del fascismo, in un clima politico mutato e all'interno dei progetti delle ferrovie elettriche che il regime cercò di realizzare nella provincia, la tramvia elettrica per S. Cataldo sembrò trovare una prospettiva di rilancio. Furono contratti dal Comune dei mutui con la Cassa di Risparmio del Banco di Napoli per la sua sistemazione e per le spese di esercizio; venne rispolverato il progetto del prolungamento del binario fino alla stazione ferroviaria, sempre proposto e mai realizzato; fu infine predisposta una pianta organica del personale in esubero rispetto alle effettive esigenze di servizio [63].
 

La delibera del Comune relativa al potenziamento e alla ristrutturazione del servizio tramviario, avuto il parere favorevole del Genio Civile e della Giunta Provinciale Amministrativa, non venne ratificata dal prefetto, il quale non intravvide "il motivo d'urgenza", né "l'opportunità" del provvedimento, "in quanto il comune -egli scriveva- assai probabilmente è in procinto di cedere l'esercizio dell'azienda elettrica. Non sarebbe prudente mettere nuovi maggiori oneri a suo carico" [64]
 
Ed infatti alla fine del 1925, dopo che era stata finalmente regolarizzata la concessione governativa tra il Ministero dei LL.PP. ed il Comune, l'esercizio della tramvia venne concesso per un quinquennio alla Società Elettrica Salentina, assorbita in seguito dalla Società Elettrica della Puglia Meridionale, diventata poi Società Generale Pugliese di Elettricità [65]
Alla Mostra
 
Questa non accettò di gestire la tramvia perché l'esercizio risultava "particolarmente oneroso per le spese di manutenzione" ma, soprattutto, perché quel servizio non rientrava nelle finalità della Società, "largamente assorbita dal vasto programma di elettrificazione delle zone assegnatele".
 
Di fronte ai continui rifiuti e nonostante alcune condizioni vantaggiose avanzate dal Comune perché qualche impresa potesse gestire, magari con contratti quinquennali, il servizio tramviario, il podestà di Lecce fu costretto a chiedere al Governo il definitivo disarmo della tramvia elettrica Lecce-S. Cataldo, che venne ratificato dal Ministro delle Comunicazioni, Ciano, il 13 marzo 1933 [66].
 
Anche il disarmo della tramvia costituì un problema per il Comune di Lecce, che invano aveva chiesto alle più grandi imprese italiane (Ansaldo, Fiat, Breda, Terni) di poter alienare, magari dietro un simbolico acquisto, tutto il materiale della tramvia elettrica. Le risposte non lasciarono alcuna speranza che quel materiale potesse essere ritirato da quelle ditte per il fatto che "non potendo essere utilizzati che come rottami da rifondere, le spese di trasporto supererebbero il valore dei materiali stessi" [67]. Nemmeno i tentativi fatti verso altre 28 ditte, sparse sul territorio nazionale, diedero risposta positiva.
 
Solo dopo l'interessamento di Starace, Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista, l'Ansaldo di Genova riconsiderò l'offerta del Comune di Lecce di acquistare parte del materiale della tramvia per 80.000 lire [68]. Un prezzo simbolico, che non rendeva minimamente il suo valore attuale, né ciò che quella tramvia racchiudeva. A sua volta la Società genovese trovò in Cesare Caracciolo e Francesco Schilardi di Lecce gli acquirenti di tutto il materiale della tramvia elettrica Lecce-San Cataldo per 100.000 lire [69].
 
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