Giungeva al capolinea, nelle fonderie di un'officina leccese, la
tramvia elettrica Lecce-San Cataldo, "l'utopia che era diventata una realtà",
come fu definita dagli stessi contemporanei alla presentazione dell'Esposizione
di Torino a pochi mesi dalla sua stessa inaugurazione.
Nella sua pur breve vita la tramvia aveva rappresentato simbolicamente la stessa città di Lecce, orgogliosa di aver realizzato nel Mezzogiorno d'Italia il più lungo sistema elettrico nel settore del trasporto pubblico locale.
La sua storia, le sue vicissitudini attraversate in poco più di un trentennio, non sono separabili dalla storia della città e difficilmente possono essere comprensibili al di fuori delle storie delle amministrazioni comunali che si erano susseguite al governo del Municipio; di quelle di tanti cittadini che avevano chiesto e poi usufruito di un trasporto per il mare; delle stesse storie, infine, di quelle società elettriche che si erano alternate nella gestione della tramvia e che avevano garantito alla città il servizio dell'illuminazione elettrica.
Per il modo come era stata concepita e per la forte determinazione con
cui era stata voluta, essa ha costituito, al tempo stesso, un obiettivo
di una classe dirigente che in quel momento aveva per la città di
Lecce un progetto di sviluppo ben delineato, teso al "recupero del prestigio,
del decoro e della dignità che si addicono ad un capoluogo di provincia".
La realizzazione di quel progetto richiese la mobilitazione delle migliori
risorse culturali, tecniche e professionali presenti nella città
che sconfissero perplessità e timori per un'impresa che allora varcava
i confini provinciali e si attestava sulle più moderne e tecnologicamente
avanzate realizzazioni trasportistiche italiane e straniere.
Carmelo Pasimeni
Università di Lecce - Dipartimento di Studi Storici dal Medioevo
all'Età Contemporanea
Lecce, ottobre 1998