L'ELETTRICITA' A LECCE
Alle radici di una storia dimenticata
di Livio Ruggiero


Una mostra sulle applicazioni dell'elettricità a Lecce può apparire velleitaria, dal momento che sembra difficile che una città così tagliata fuori dai circuiti scientifici lungo i quali si è sviluppato il progresso tecnologico nei secoli XVIII e XIX, abbia qualche cosa da dire in materia.

Eppure proprio Lecce è stata sede di due applicazioni dell'elettricità alla vita di tutti i giorni, che le hanno dato un primato indiscutibile nel paese e l'hanno posta tra le prime città d'Europa per tali applicazioni: l'orologeria elettrica da torre nel 1868 e il trasporto elettrico su rotaia nel 1898.

Per comprendere la rilevanza di queste due date occorre ricordare che la storia dell'elettricità, dal punto di vista applicativo, inizia soltanto nel 1800, con l'invenzione della pila elettrica da parte di Volta.

Fino ad allora si può dire che i fenomeni elettrici, naturali o prodotti artificialmente, avevano costituito solo materia di speculazione e accesa discussione tra gli scienziati e oggetto di grande curiosità nei salotti colti o nei baracconi da fiera.

Le scariche elettriche prodotte in laboratorio, o in casa, grazie alle macchine elettrostatiche erano dei veri e propri fulmini artificiali, affascinanti e pericolosi quasi al pari di quelli naturali, capaci di produrre forti sensazioni dolorose o addirittura di attraversare e bucare materiali solidi, come la carta e il vetro.

D'altro canto il contatto del fluido elettrico con il corpo umano poteva generare fenomeni curiosi, come il rizzarsi dei capelli, mentre, fatto scorrere lungo opportuni percorsi metallici leggermente distanziati, costituiti da losanghe di stagnola incollate su lastre di vetro, dava origine a fantasmagorici insiemi di scariche, che illuminavano suggestivamente gli ambienti tenuti al buio. Ma non molto di più.

Non era possibile, per esempio, mantenere un flusso di cariche in un filo metallico con intensità costante per un certo periodo di tempo, e in ogni caso i fenomeni duravano finché si manteneva in rotazione il disco di vetro (o una palla di zolfo nelle macchine più primitive) di una macchina elettrostatica. Si era sì trovato un modo di accumulare e conservare per un certo tempo piccole quantità di elettricità nelle giare elettriche, nelle bottiglie di Leyda e in altri tipi di condensatori, ma la fuoriuscita del curioso fluido da queste specie di contenitori avveniva rapidamente e sempre in modo incontrollato attraverso una scarica più o meno violenta.

Con l'invenzione della pila di Volta il panorama applicativo cambia drasticamente. Si può mantenere per tempi abbastanza lunghi in un filo conduttore una corrente continua, che, grazie anche ai suoi stretti legami con i fenomeni magnetici, consentirà di ottenere un rapido sviluppo delle applicazioni dell'elettricità in tutti i settori della vita quotidiana, oltre ad un incredibile ampliarsi della ricerca scientifica in vari campi, dalla fisica alla chimica alla biologia.

La telegrafia e l'orologeria elettriche, il motore elettrico, l'illuminazione, la telefonia, la dinamo e l'alternatore sono le tappe eccitanti di questo tumultuoso e affascinante sviluppo, svoltosi in meno di cento anni.

L'invenzione della valvola termoionica, agli inizi di questo secolo, spalancherà le porte alla seconda parte di questa storia, quella dell'elettronica, sviluppatasi fino ai nostri giorni in maniera più che esponenziale, senza sintomi di rallentamento.

Il primo telegrafo elettrico, ignorato completamente dai contemporanei, sembra essere stato quello dell'inglese Ronalds, che lo costruì nel 1816 e lo pubblicò nel 1823, mentre ufficialmente è riconosciuta l'invenzione del telegrafo elettrico ad aghi da parte di Cook e Wheatstone nel 1837 [1].

Il primo orologio elettrico è quello realizzato nel 1839 da Steinheil [2], cui per altro viene attribuito il primo telegrafo nel 1837, anche se sembra che l'italiano Zamboni si sia interessato al problema in precedenza.

Il primo pendolo mosso elettricamente è quello di Bain del 1840 [3] e nella prima metà della stessa decade vennero realizzati i primi dispositivi per sincronizzare a distanza più orologi elettrici, senza però molto successo.

E', però, solo alla fine degli anni '70 e nel corso degli anni '80 che si hanno notizie certe di impianti di orologi elettrici sincroni funzionanti: un migliaio di orologi tra Inghilterra, Francia, Italia e Germania (108 orologi sincroni solo a Londra nel 1878 [4]).

Si vede quindi come la data del 1868 per l'impianto a Lecce di una rete di quattro orologi elettrici sincroni, collocati su altrettanti edifici pubblici, costituisca un indubbio primato nazionale e possa essere considerata indicativa di un certo primato anche in Europa, non fosse altro per il fatto che l'impianto di Lecce funzionò, anche se con qualche difficoltà di gestione, fino al 1936.
 
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Ritratto di G. Candido 
in abito episcopale
(Archivio L. Ruggiero)
GIUSEPPE CANDIDO

Autore della realizzazione della rete di orologi elettrici sincroni fu un sacerdote leccese, Giuseppe Candido, formatosi al prestigioso Collegio S. Giuseppe, retto dai gesuiti, avendo per insegnante di fisica il Padre Nicola Miozzi, dalle notevoli competenze in fatto di elettricità. 

Ed è proprio la figura del Miozzi che ci permette di portare ancora più indietro nel tempo i legami di Lecce con la nascente scienza dell'elettricità. 

Infatti il Miozzi, al ritorno dei gesuiti a Lecce nel 1849, era succeduto nella cattedra di Fisica del Collegio a Raffaele Rubini, che a sua volta aveva sostituito, dopo la cacciata dei gesuiti nel 1848, il Padre Giuseppe Paladini, che era stato maestro del Miozzi a Napoli [5]

Il Paladini, amico del grande fisico Macedonio Melloni fondatore dell'Osservatorio Vesuviano, era un profondo conoscitore dell'elettromagnetismo e, inviato al Collegio di Lecce (allora secondo solo al famoso Collegio napoletano) anche per riorganizzarne il laboratorio di fisica, lo aveva arricchito con vari apparecchi elettrici che il Miozzi poté successivamente utilizzare per il suo insegnamento e i suoi esperimenti.

Del grande interesse del Miozzi per le applicazioni dell'elettricità e dei suoi esperimenti a Lecce ci resta purtroppo solo qualche scarna notizia, come quella, riportata nei diari del Collegio, di suoi "esperimenti di Elettricità con la caldaia a vapore" nel 1852 [6] e quella, più circostanziata e verificabile, relativa all'esperimento di illuminazione, con una lampada ad arco alimentata da pile Bunsen, del Palazzo dell' Intendenza in occasione della visita del Re Ferdinando II a Lecce nel 1859 [7].

Fu questo uno dei primi esperimenti del genere, che del resto pare lo stesso Miozzi avesse già tentato, ma senza successo, sempre nel 1852 [8], e la curiosità sull'argomento aumenta considerevolmente grazie al manifesto delle feste patronali del 1858, nel cui programma viene annunciata, con una descrizione dettagliata, l'illuminazione elettrica della piazza S. Oronzo, con un apparato analogo a quello del Miozzi, ma messo in opera da un certo Oronzo Romano un anno prima [9]. Del fatto che l'esperimento sia avvenuto effettivamente non si è però fino ad oggi trovata conferma.
L'eredità di un tal maestro fu raccolta degnamente dal Candido, che, tornato a Lecce dopo gli studi universitari, si diede a realizzare ogni sorta di apparati elettrici per usi didattici e per usi domestici, molti dei quali messi in funzione nella sua casa di via Regina Isabella (su cui sopravvive, unica memoria del grande leccese, la lapide fattavi collocare dal nipote Gennaro Candido in occasione del centenario della nascita). 

In questo tentativo di riportare alla memoria un pezzo della nostra storia culturale, non si possono trascurare gli studi condotti da un contemporaneo del Miozzi e del Candido, Giuseppe Eugenio Balsamo, figura di spicco nel panorama culturale e politico salentino del momento. Anch'egli infatti si interessò dei fenomeni voltaici, studiando il comportamento del ferro, le caratteristche di pile elettriche nuove, al ferro e al piombo, e alcune applicazioni dei bagni galvanici [10]

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La lapide commemorativa posta
sulla casa di Via Regina Isabella 
(Foto M. Di Giulio)
Una descrizione entusiastica dell'attività del sacerdote scienziato, elevato da Leone XIII alla dignità episcopale e inviato a reggere la diocesi di Ischia dove morì nel 1906, è contenuta in un fascicoletto pubblicato da Cosimo De Giorgi nel 1899 in occasione del trentennale di funzionamento degli orologi elettrici [11].
 
Zoom   Tra i pochi riconoscimenti avuti dal Candido per la sua attività nel campo dell'elettricità è importante la "menzione onorevole" ottenuta all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1867 per la sua Pila a diaframma regolatore, brevettata nel 1868, realizzata unendo le caratteristiche di due delle pile elettriche al momento più utilizzate, quelle di Callaud e di Minotto, che miglioravano entrambe le prestazioni della pila Daniell

Con la sua pila il Candido aveva raggiunto pienamente il triplo risultato di una sorgente di elettricità che manteneva a lungo la costanza dell'intensità della corrente erogata, era molto economica e richiedeva una facile manutenzione, tutte caratteristiche necessarie a far funzionare bene un apparato come la rete di orologi elettrici sincroni o un telegrafo elettrico.
 
Alla stessa Esposizione del 1867 il Candido aveva presentato anche i disegni e la descrizione di alcuni apparecchi elettrici, il più interessante dei quali era un pendolo a movimento elettromagnetico che batteva il secondo. Di questo pendolo il Candido fece realizzare un esemplare che avrebbe dovuto servire per attivare la rete degli orologi di Lecce, in sostituzione dell'orologio motore, costituito da un normale pendolo a contrappesi. 

Del Pendolo sessagesimale elettromagnetico del Prof. G. Candido, come è scritto sul quadrante di vetro, descritto dal De Giorgi nella citata pubblicazione del trentennale, si erano perse le tracce, ma recentemente esso è stato finalmente ritrovato in ottime condizioni. 

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Il 31 dicembre 1872 il sindaco di Lecce, Lupinacci, congedandosi dall'Amministrazione, scrive al Candido una lettera per esprimere "...un sentimento di riconoscenza cittadina per l'opera degli orologi elettrici" concludendo: "La memoria delle opere che hanno illustrato il paese è imperitura, come la coscienza pubblica che non muore mai; e però il suo nome sarà sempre onorato e stimato. Ecco il più largo compenso per le anime generose come la Sua.". Ma così non è stato.

Il futuro delle realizzazioni di Mons. Giuseppe Candido e della memoria del ruolo della Città nella storia dell'elettricità, dimenticati dai cittadini di ieri e di oggi, è affidato ai cittadini di domani.
 
 

Livio Ruggiero
Università di Lecce - Dipartimento di Scienza dei Materiali

Lecce, ottobre 1998

Indice del saggio