L'invenzione nel 1800 da parte di Alessandro Volta della pila elettrica, costituita da un elettrodo di rame e uno di zinco in contatto con una soluzione acidulata, segnò il passaggio dell'elettricità da curiosità-argomento di speculazione a promettente sorgente di energia. Diversi furono i tentativi di risolvere gli inconvenienti presentati della pila di Volta (depositi di zinco e di idrogeno sull'elettrodo di rame e diminuzione della concentrazione della soluzione col passare del tempo).
Un esempio è la pila a due liquidi di Daniell, in cui i due elettrodi di rame e di zinco sono immersi rispettivamente in una soluzione di solfato di rame e in acqua acidulata, e un diaframma di ceramica porosa tiene separati i due liquidi pur lasciando passare la corrente. Tuttavia anche la pila Daniell presenta dei difetti, legati essenzialmente alla presenza del diaframma poroso, che ne limitano l'utilizzazione.
Due soluzioni efficaci furono la pila Callaud, in
cui, eliminato il vaso poroso, i due liquidi sono separati dalla differenza
di densità, e la pila Minotto, in cui alla differenza
di densità si aggiunge l'effetto di uno strato di sabbia posto tra
i due liquidi. In entrambe l'elettrodo di rame è a contatto con
dei cristalli di solfato di rame, per mantenere costante la concentrazione
della soluzione.
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Lo schema della pila Candido
(M. Di Giulio) L'elettrodo di rame (Cu) è immerso in una soluzione di solfato di rame, quello di zinco (Zn) in acqua acidulata (H2SO4). Un diaframma di ceramica e uno strato di sabbia mantengono separati i due liquidi; l'elettrodo di rame, che sul fondo ha forma di disco, permette tuttavia il passaggio della corrente tra le due soluzioni. Esternamente al diaframma, al contatto tra il rame e l'acido si forma del solfato di rame in soluzione che resta sul fondo grazie alla differenza di densità rispetto all'acqua acidulata. La concentrazione della soluzione nella parte centrale è mantenuta costante da alcuni cristalli di solfato di rame. |
(Foto M. Vantaggiato)
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